Sonntag, 25. November 2007

visibilità (testo quasi dimenticato-e ritrovato!)

L’Hiv e l’AIDS ci danno una tra le tante possibilità

di guardare fuori nel mondo,

e dentro noi stessi.

Come un specchio che sta nel mezzo.

Tramite il quale stiamo guardando e osservando.

Uno specchio reciproco e permeàbile.



Mentre vedo il mondo fuori, il mondo mi vede.

Allo stesso tempo vedo sempre anche me nel mondo,

e il mondo vede se stesso dentro di me.

Vedo le paure, le mie e le vostre. .

Vedo le incertezze, le nostalgie.

Vedo la discordanza, dentro e fuori.

Si confondono



Non superando le mie stesse diversità

e le paure che sono collegate ad esse,

mi posso nascondere dietro lo specchio

E sentirmi diversà, ma buona.

Pricipessa dell’Hiv.

Significa anche cambiare lo stigma in onore.



Vi do la colpa per l’ ingiustizia e l’ineguaglianza nel mondo

che vedo tramite questo specchio.

Cosi mi faccio carico della sofferenza nel mondo

E ne posso soffrire.

È una trappola.


Viceversa,

voi da l’altra parte dello specchio mi guardate,

ma non mi vedete.

Mi state misurando:

alle vostre paure, ai vostri valori, alla vostra morale.



Ia stigmatisazione ha il suo peso.

Mia identità ha cambiato.

Nel vostro sguardo io sono tutto quello,

ch’è di diverso in voi stessi.

Può darsi che troverete empatia.

Comunque, vi potete allontanare dalla vostre paure,

nostalgie e sbagli.

Facendo finta che lo specchio sia soltanto finestra.



Ma:

Vi offro il mio sguardo e la mia faccia.

Una faccia per l’infezione.

Per l’identificazione.

Uno sguardo per i bisogni, per la necessità.

Per l’HIV e AIDS.



Sono una tra tante altre persone seropositve

la invisibilità degli altri falsifica la vostra realtà.

Nel silenzio soffrono.

La mia visibilità è bisogno e offertà.

Sperando che la permeàbilità crescera,

anche da vostra parte



Eccomi quà.

Sono donna, sieropositiva.

Ho una sessualità viva e un giorno morirò,

forse, di AIDS.

Vivo tra di voi.

Sono mamma.



Non sono la morte.

Ne la vostra , ne la mia.

Vivo, mi chiamo Michèle.

Si, pensavo di morire presto,

ma le prospettive sono tornate.



Non sono la colpa e non ho colpa.

Non sono la paura,

ne mia , ne vostra.

Non sono fallita.

Nessuno mi deve salvare.

Non porto sfortuna e non sono stata sfortunata.



Sono una persona responsabile.

Credevo che non fosse giusto avere una famiglia.

Le mie figlie mi hanno insegnato altro.

Sono andata oltre.

Non porto la sofferenza e gli sbagli del mondo.



Vivo con una infezione cronica,

può darsi mortale.

L’HIV e L’AIDS non è niente altro.

Una malattia.

Non centra la morale.

Le immagini che avete del HIV e l’AIDS

sono piu che altro mistura di riflessi e permeàbilità

di questo specchio tra noi.



Non è che sono meglio o più cattiva di voi,

solo per il mio stato sierologico.

Sono sempre io.

E tutti siamo diversi.

Le paure sono da tutte due le parti.

Le nostalgie anche.

Tutti dobbiamo morire,

uguale quanto opaco o permeàbilie lo specchio sia,

e da quale parte ci crediamo essere.



La visibilità potrebbe aprire nuove possibilità di riconoscere ed agire.

Eccomi qua.

Non mi stanco di disturbare chi ignora e discrimina.

Perché vorrei che il specchio diventera finestra, un giorno.

Ci sarebbe tanto da gestire, insieme.